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Home » Le comunità energetiche rinnovabili: cosa sono e a che cosa servono

Le comunità energetiche rinnovabili: cosa sono e a che cosa servono

15 Settembre 2025 di Alessandro Allori

Intervista all’ingegner Stefano Corsi che ci illustra l’argomento, facendo un focus sulle CER in Toscana.

Ingegner Stefano Corsi

Le Comunità energetiche rinnovabili o CER sono delle risorse, ma anche delle opportunità per chi vive in determinati territori. Ne esistono diverse centinaia in tutta la penisola (si parla di 600 a giugno 2025) e permettono non solo di risparmiare ma anche di produrre energia da poter vendere. Un vantaggio per l’ambiente ed un modo per alleggerire le bollette dell’energia elettrica. Si tratta di un balzo in avanti importante per l’Italia, come una crescita del 240% nel 2025, dati record che però devono tener conto di una produzione non ancora all’altezza della potenzialità, stimata in 50,1 MW. In un periodo storico caratterizzato dall’individualismo sfrenato, la condivisione delle risorse, seppur fatta nella maggior parte dei casi per risparmiare, fa ben sperare che non tutto sia perduto. La crescita deve essere accompagnata dal supporto pubblico, in termini di finanziamenti che burocratico che guidino la crescita delle CER. Per capire meglio la situazione siamo andati a intervistare l’ingegner Stefano Corsi, coordinatore della Commissione ambiente ed energia dell’Ordine degli ingegneri di Firenze, come esperto in materia che ci ha parlato a ruota libera del fenomeno, soffermandosi sulla situazione che conosce meglio, ovvero quella Toscana.

Ricordiamo che l’intervista oltre che testuale è anche in formato audio nel nostro canale You Tube, a cui vi invitiamo a iscrivervi.

Ci parli innanzitutto in cosa consiste una Comunità energetica rinnovabile (CER)…

La comunità energetica è una realtà che, come si deduce dal nome, è composta da un gruppo di soggetti – singoli cittadini, privati, aziende, enti pubblici e altri – che si uniscono per creare un nuovo organismo in cui condividono la produzione e il consumo di energia. Si tratta quindi di mettere in comune la produzione energetica, proveniente principalmente da fonti rinnovabili o comunque assimilabili.

Facciamo un focus nel territorio che lei conosce maggiormente, ovvero la Toscana…

È un settore nuovo ma molto attivo, e stanno nascendo diverse esperienze: entro il 2025 si prevede un totale di 27 comunità energetiche, con una potenza complessiva di 2.150 kW e 113 utenze. Alcune sono già consolidate, altre stanno via via prendendo forma. Una storica è Sienaenergie, tanto per citarne una, ma cito con piacere anche Siev Energia, a CER Sesto Fiorentino e Fondazione CER Italia Montevarchi.. La Toscana è una regione ricca di realtà anche molto differenti tra loro, poiché all’interno delle comunità energetiche possono esserci vari approcci e modalità di adesione. Ogni comunità energetica si costituisce con un proprio statuto e delle regole interne, per poi aprirsi ai cittadini e a chiunque desideri partecipare.

Ci può illustrare le fasi in cui nasce una Comunità energetica?

In primo luogo, sono necessari degli impianti di produzione, principalmente da fonti rinnovabili: in assenza di questi, la comunità non può costituirsi, poiché tali progetti si basano innanzitutto sulla condivisione dell’energia. Si tratta di un’entità che non richiede collegamenti fisici tra i vari soggetti che vi aderiscono né particolari interventi tecnici, in quanto tutto avviene tramite i contatori già esistenti. È dunque un sistema di tipo virtuale, gestito dall’operatore del servizio elettrico. Non sono quindi previsti interventi iniziali, se non da parte degli utenti che intendono produrre energia o dei privati che decidono di aderire pur non disponendo di un impianto. Il vantaggio è che il nuovo soggetto della comunità energetica, dotato di statuto e codice fiscale, diventa beneficiario di una quota di tariffa incentivante, a condizione che l’energia prodotta da fonti rinnovabili venga consumata all’interno della comunità stessa. Lo scopo principale è quello di garantire l’autosufficienza energetica all’interno della comunità, che può comprendere frazioni, paesi o anche quartieri di città. Uno degli aspetti più intelligenti e virtuosi è che la quota economica riconosciuta alla comunità per l’energia condivisa può essere reinvestita in servizi sociali a beneficio dei cittadini, degli anziani e dei giovani.

L’input alla creazione di una di queste entità viene in genere da enti pubblici o da privati?

Si sono mosse anche le istituzioni e i singoli comuni, poiché dispongono sia degli impianti sia degli spazi, oltre che delle possibilità tecniche ed economiche per realizzarli.  Le comunità energetiche possono avere una composizione mista, con la partecipazione di soggetti pubblici e privati, e possono ampliarsi nel tempo con nuovi membri della stessa comunità.

È necessario poter realizzare impianti rinnovabili di una certa entità e dimensione; tuttavia, una comunità energetica può nascere anche in forma molto ridotta: persino due palazzi possono costituirne una. In questi casi, però, le spese amministrative rischiano di renderla più complicata e meno conveniente. Al contrario, frazioni o piccoli paesi rappresentano realtà in cui una comunità energetica rinnovabile può svilupparsi con maggiore efficacia, fino ad arrivare a modelli più estesi che coinvolgono più comuni o interi quartieri di una grande città.

Le comunità energetiche rinnovabili sono percorsi che possono offrire vantaggi. Ci spieghi quali?

Sono percorsi lungimiranti sotto diversi aspetti. Il primo è quello di favorire il consumo locale dell’energia: uno dei problemi principali delle rinnovabili, infatti, riguarda il trasferimento di grandi quantità di energia su lunghe distanze, soprattutto in un Paese come l’Italia, dalla conformazione molto allungata. Storicamente la produzione di energia avveniva “a cascata”: dai grandi impianti si distribuiva lungo le diramazioni della rete, poi alle zone, alle città e infine alle singole utenze. Con le rinnovabili, invece, si è creato un flusso bidirezionale: la produzione diffusa può anche reimmettere energia verso la rete di livello superiore. Questo comporta la necessità di una trasformazione complessiva della rete elettrica, già oggetto di interventi. Tuttavia, lo scopo principale rimane quello di favorire il consumo il più vicino possibile al luogo di produzione. In parte, questo concetto esisteva già con l’autoconsumo: il singolo cittadino con un pannello sul tetto riceveva una tariffa incentivante se utilizzava l’energia prodotta, piuttosto che rivenderla. Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) non fanno altro che estendere questo principio a un’area più vasta: non più la singola abitazione, ma intere zone collegate alle cabine di trasformazione di Enel. Tutte le utenze servite dalla stessa cabina possono quindi aderire a una comunità energetica. Ciò significa che, soprattutto fuori dalle città, l’energia prodotta viene consumata nell’arco di pochi chilometri: ad esempio, l’energia prodotta nel Chianti viene utilizzata all’interno del Chianti, magari non esattamente nel punto di produzione ma a 10-20 km e non a grandi kilometri di distanza.

Accanto a questo aspetto tecnico, ci sono altri due elementi fondamentali. Il primo è quello energetico-economico: i vantaggi non sono enormi — non si diventa ricchi — ma si offre la possibilità anche a chi non può installare un impianto nella propria abitazione di partecipare comunque alla produzione rinnovabile nella propria comunità, o di utilizzare energia verde prodotta da altri nelle vicinanze. Questo permette anche di adeguarsi in anticipo a un futuro in cui l’uso delle energie rinnovabili diventerà obbligatorio.

Il secondo elemento è quello sociale: le tariffe incentivanti, seppur oggi meno elevate rispetto al passato, consentono di generare risorse economiche che possono essere reinvestite in servizi collettivi. I proventi della produzione possono quindi finanziare attività di vario tipo: biblioteche, servizi sanitari, iniziative per bambini, giovani e anziani. In questo modo le CER uniscono la dimensione ambientale con quella sociale, creando un modello virtuoso di comunità sostenibile.

Quali sono le criticità allo stato attuale nel realizzare una Comunità energetica rinnovabile?

Un aspetto importante che le istituzioni dovrebbero cogliere è che lo sviluppo delle energie rinnovabili passa necessariamente attraverso una semplificazione burocratica. Nelle CER questo è particolarmente rilevante, perché la comunità funziona solo se ci sono tempi certi per la realizzazione degli impianti: l’impianto viene costruito e ha un ritorno economico se viene affidato alla comunità energetica, ma la CER può essere costituita solo se l’impianto viene effettivamente realizzato.

In questo contesto, le difficoltà burocratiche che si riscontrano in Italia, e in particolare in Toscana, rappresentano un ostacolo critico, soprattutto a causa della disomogeneità di regolamentazione. Anche comuni confinanti possono avere regole differenti, rendendo complicata e incerti i tempi e la possibilità di realizzazione, questo fa decadere tutto il sistema molto più di quanto lo facesse in passato. È quindi necessario che vengano stabilite regole chiare e omogenee in tutto il territorio regionale. Le istituzioni sono già al lavoro su questo fronte, e confidiamo che presto arrivino cambiamenti concreti.

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