Intervista al fondatore e Presidente dell’istituto italiano di Permacultura
Ci faccia un’introduzione relativa alle sue attività, dell’istituto che ha fondato…
Mi chiamo Pietro Zucchetti e sono diplomato in Permacultura applicata con l’associazione britannica, sono anche istruttore del Permaculture Research Institute of Australia di Geoff Lawton e ho collaborato a vari progetti anche con Ken Yeomans, che è il figlio di Percival Alfred Yeomans che ha inventato il sistema di design della Keyline per la gestione delle acque, un sistema praticamente di idrologia rigenerativa. Poi sono anche diplomato in gestione sostenibile del bosco con Ben Law in Inghilterra, uno dei fondatori della FSC, Forest Stewardship Council. Poi sono anche diplomato in idrologia rigenerativa con Darren J. Doherty, che collabora poi con Joel Salatin della Polyface Farm negli Stati Uniti. Ho collaborato con Daniele Cesano per il discorso della Permacultura sintropica, lui è attualmente in Brasile ha fatto vari lavori con la Fao e l’Onu per i campesions brasiliani. Fondo nel 2010, l’Istituto Italiano della Permacultura per promuovere la permacultura in Italia, per fare anche della formazione, delle lezioni, quindi corsi 72 ore, per dare anche un’informazione libera alla permacultura in Italia, indipendente, infatti ho lanciato il canale Youtube già nel 2010, con più di 300 video gratuiti, abbiamo il nostro sito internet www.istitutoitalianodelpermacultura.com, pieno di informazioni gratuite, di articoli eccetera. Con l‘Istituto Italiano di Permacultura cerchiamo di diffondere la permacultura per tutti gratuitamente attraverso conferenze. Sempre con l’Istituto, ma soprattutto io come istruttore del PRI Australia, di Geoff Lawton, facciamo anche i corsi di 72 ore, per formare le persone nel design di permacultura.
Cosa vuol dire design di permacultura? Può spiegare il termine a chi lo sente per la prima volta…
Il design di permacultura è la permacultura praticamente, tale disciplina si caratterizza con un design conscio per il mantenimento di ecosistemi agricoli e produttivi che possiedono la diversità, la stabilità, la capacità di recupero degli ecosistemi naturali. Quindi possiamo dire che noi umani, con il nostro cervello soltanto non siamo in grado di comprendere la natura e la sua normalità, e quindi non siamo in grado di progettare, di produrre, creare sistemi naturali, ecco questo è un po’ il discorso. Usando delle nuove scienze, come il pensiero sistemico, che viene poi sintetizzato all’interno del design di permacultura,
il design di permacultura in un certo senso è un pensiero sistemico che serve ad avere, una visione più olistica nel senso dell’inglese the whole, come intero, ecco, cioè avere una visione dell’insieme, dell’intero, solo così possiamo comprendere la natura, solo così possiamo rapportarci con essa e vivere con essa e avere anche frutti da essa.
Se non comprendiamo la totalità della natura, ma soltanto una parte, comprendiamo solo le micorrize, comprendiamo solo la biologia dell’albero, comprendiamo solo qualche animale o qualcosa non totalmente connesso. Lì chiaramente non abbiamo la visione e quindi non possiamo interagire con la natura vera, questo è un po’ il discorso, quindi il design di permacultura in un certo senso è una sorta di pensiero sistemico, quindi di sintesi che si va a fare per comprendere i luoghi dove noi andiamo poi a fare i progetti, diciamo in una sintesi molto sintetica, e chiaramente avendo scritto un libro di design, 270 pagine, è molto più complesso di quello che ho spiegato al momento, però ecco, la caratteristica è questa e la funzione è questa qua, tutto di avere una visione olistica, quindi questo vuol dire delle connessioni che ci sono tra tutti gli elementi di un determinato habitat, di un determinato luogo, di un determinato terreno, dove vogliamo fare il progetto.
Questo nuovo libro Appunti di permacultura è per tutti o per chi è già all’interno della materia?
Lei in questi anni ha condotto molti progetti sul campo. Che evoluzione c’è stata?
Per un coltivatore che vuole passare dall’agricoltura tradizionale alla permacultura, che tipo di approccio vi consiglierebbe?
Di cambiare totalmente la sua coscienza, cercare di capire cosa ha fatto fino a quel momento, prendersi le proprie responsabilità — che è la prima cosa che si fa in permacultura — e vedere cosa viene fuori una volta fatta questa operazione. Prendere coscienza della situazione attuale, del proprio terreno, della propria azienda, di se stessi. Dopodiché vediamo un attimo, facciamoci due calcoli e vediamo cosa si può fare. Ho lavorato per diverse aziende agricole: con alcune è andata bene, ma perché c’era comunque già una coscienza elevata e sviluppata dell’ambiente naturale, di cosa serve veramente alla natura per produrre senza usare pesticidi, eccetera. In quel caso, sono state esperienze molto utili. In altri casi, invece, erano soltanto disperati, non sapevano più cosa fare, ed è andata male, perché chiaramente non c’è una convinzione di base dei processi biologici, non c’è una comprensione di base di quello che serve veramente alla natura per rigenerarsi e per produrre. Quindi, in quei casi, purtroppo non si può fare nulla. È tutto un discorso di coscienza. Noi possiamo rigenerare un terreno molto facilmente, facendo le cose giuste, anche molto più rapidamente di quello che pensiamo. L’abbiamo fatto, lo stiamo facendo, in decine di progetti. Quindi non è quello il problema.
Il problema è l’essere umano. L’essere umano deve iniziare assolutamente a fare dei processi di analisi, autoanalisi, cercare di innalzare la propria coscienza, di prendere coscienza di ciò che ha fatto, di chi è, di dove vive.
Senza aver acquisito questa consapevolezza un contadino, un agricoltore, non può fare nulla.
Tornando al tema del contadino che vuole cambiare, quali sono i tempi e i costi di una transizione verso un nuovo modello agricolo?
Al momento, noi stiamo realizzando coltivazioni con un costo complessivo di circa 30.000 euro per ettaro. In questa cifra è compreso tutto. Questo è, quindi, il costo di riferimento.
Per quanto riguarda i processi, dipende: una parte può essere standardizzata, parliamo ad esempio dei processi generali. Il primo passo fondamentale è iniziare a lavorare con i microbi: batteri, protozoi, tutta la componente microbiologica aerobica del suolo. Senza questo lavoro, non si va da nessuna parte. Ma non basta: bisogna anche ricreare l’habitat per questi microbi. È necessaria, quindi, una vera e propria consapevolezza di questo tipo di approccio. Oggi, purtroppo, in agricoltura di questi temi non si parla quasi per niente.
Qualcuno comincia a fare qualcosa. Ho parlato con persone anche piuttosto influenti di alcuni grandi gruppi agricoli, ad esempio in Piemonte, nel Cuneese. Ma lì si fermano alle micorrize. Quando provo ad approfondire, mi dicono: “State troppo avanti, non riusciamo ad arrivare a quella concezione.” E non perché non siano capaci di attuarla, ma proprio perché non riescono a concepirla. Non riescono a comprendere il discorso legato all’aerazione del suolo, al lavoro esclusivamente con microbi aerobici. Il suolo, per produrre cibo, ha bisogno di ossigeno, di una buona aerazione, di microbi aerobici. Ha bisogno di acqua, di trattenere umidità grazie proprio a questa aerazione. Ecco perché il primo passaggio è tutto un lavoro di rigenerazione del suolo, che va di pari passo con la gestione dell’acqua. Senza acqua, senza umidità, un suolo non può produrre nulla. Poi entra in gioco una presa di coscienza: bisogna agire in relazione allo stato di fatto del terreno. In che condizioni si trova questo suolo? Questa azienda agricola? Le aziende che fanno agricoltura biodinamica o un biologico serio, ad esempio, non presentano danni enormi: si riprendono velocemente, c’è sicuramente margine di miglioramento, ma non sono messe male. Al contrario, chi usa agenti chimici e pesticidi ha suoli praticamente morti, ridotti a substrati minerali che non supportano più la vita. È come coltivare sulla Luna. Tutto dipende, quindi, dalla condizione attuale del terreno: è completamente mineralizzato? È “lunare”? Oppure manca solo un po’ di humus, di sostanza organica, di microbiologia? In quel caso si può intervenire facilmente, integrando ciò che manca. Ma sono due situazioni completamente diverse, che richiedono approcci differenti. Ecco perché non è possibile standardizzare del tutto gli interventi da fare. Ed è qui che entra in gioco il design di permacultura, serve proprio a questo:
A determinare lo stato di fatto di un terreno e, sulla base di quella specifica situazione, progettare interventi mirati: fare questo, questo e quest’altro.
Qual è lo stato attuale della permacultura in Italia? Rimane ancora un fenomeno di nicchia? C’è sensibilità, curiosità? Che cosa avete notato negli ultimi anni?
Confrontando l’Italia con la Francia, l’Inghilterra e anche la Croazia, dove lavoro, devo dire che c’è stato un cambiamento piuttosto importante. Negli ultimi dieci anni c’è stata, secondo me, una buona diffusione. In passato si partiva da qualche orto sinergico, non si parlava molto di food forest, né tanto meno di piante perenni, che sono alla base della permacultura. Siamo quindi passati da una fase embrionale a una situazione di diffusione abbastanza significativa. Di recente sono stato a Salerno, dove ho visto all’opera tante associazioni diverse, tutte impegnate in progetti straordinari. È stato emozionante vedere tutto quello che si sta realizzando grazie a una partecipazione popolare molto sentita. Il bello è che tutto questo avviene spesso indipendentemente dal sostegno regionale o statale: si utilizzano a volte dei fondi europei, ma in gran parte i progetti sono portati avanti tramite autofinanziamento.
Quindi sì, credo che in Italia la permacultura si sia diffusa molto negli ultimi anni. Rimane ancora un fenomeno di nicchia, è vero, ma la crescita è stata significativa, e questo soprattutto grazie alle persone. Grazie a chi si è incuriosito, si è formato, ha cominciato a fare e ha condiviso con amici e parenti. Insomma, grazie agli italiani che hanno iniziato a comprendere l’importanza di una disciplina così fondamentale per il nostro futuro: una materia rigenerativa che potrà – spero – garantire un avvenire prospero alle generazioni che verranno.
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