Intervista al climatologo e divulgatore scientifico.
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono sugli occhi di tutti e difficilmente sono confutabili, anche se esistono persone che ne mettono in dubbio la veridicità, ma questo è solo uno dei tanti riflessi del degenero di parte della società in cui viviamo. Caldo torrido, alluvioni, incendi, bombe d’acqua, innalzamento del livello delle acque, questi sono solo alcuni degli effetti visibili dei cambiamenti in atto. Ma come l’essere umano può mettere in atto strategie di adattamento e resilienza che lo portino a convivere e adattarsi, limitando per quanto possibile i danni, che i sempre più numerosi fenomeni estremi stanno apportando. Non tralasciando le azioni che possiamo fare per ridurre l’impatto dei cambiamenti in atto, visto che a livello politico ci si muove molto a parole ma nei fatti non si fa abbastanza per rispettare l’accordo di Parigi e raggiungere l’impatto climatico 0 per il 2050. Per cercare di fare chiarezza e mettere dei punti ad argomenti vasti e difficili da trattare in poche righe abbiamo contattato il climatologo Luca Mercalli chiedendogli di spiegarci fino a che punto l’uomo può adattarsi e quali sono i meccanismi che la società dovrebbe attuare per tentare di fare marcia indietro o quantomeno limitare i danni di questo cambiamento in atto, che è bene ricordarlo, è frutto delle attività antropiche.
Cominciamo la nostra intervista parlando della sua persona e dell’attività scientifica e divulgativa che porta avanti…
Certamente io mi occupo di cambiamenti climatici praticamente da 35 anni. Ho iniziato a studiarli attraverso i movimenti dei ghiacciai fin dalla fine degli anni 80′, attività che mantengo tutt’ora. L’attività mia attività ghiacciologo continua con il monitoraggio di alcuni ghiacciai delle alpi occidentali che sono diventati dei veri e propri laboratori ad alta quota e poi su tutta la parte di indagine scientifica sui climi del passato attraverso le lunghe serie storiche di osservatori che funzionano da parecchi secoli e di cui io stesso partecipo a tenere viva l’attività di misura. Per esempio sono responsabile dell’osservatorio meteorologico del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, che è stato fondato nel 1865 ed è uno degli osservatori riconosciuto al mondo come patrimonio scientifico dell’umanità, oppure quello di Piacenza, di Domodossola sono osservatori che contribuisco a mantenere in vita. Questa è la parte che riguarda la ricerca scientifica, la metà del mio lavoro è quello dell’informazione sui temi dei cambiamenti climatici e ambientali, in quanto in questi 35 anni di lavoro questo tema è diventato sempre più importante a livello sociale e politico, quindi io cerco di tradurre i risultati della ricerca scientifica in suggerimenti e proposte per risolvere la crisi climatica a partire dalla nostra società italiana ed europea e quindi mondiale.
Adattamento e resilienza: nel contesto dei cambiamenti climatici, quanto è importante distinguere tra “adattamento” e “resilienza”? Quali sono gli esempi più significativi di strategie adattive che l’umanità sta adottando?
Purtroppo l’adattamento è una parola neutra che però nasconde drammi incompatibili con il nostro futuro, nel senso che ci si può adattare ad alcuni cambiamenti ma non a tutti o alcuni adattamenti possono essere estremamente gravosi.
Si paga un prezzo per adattarsi, non è un processo spontaneo.
Facciamo un esempio, se le alluvioni ti riempiono una casa di fango o ancor peggio te la distruggono, l’adattamento prevede o ricostruirla continuamente o la scelta di andarsene in un altro posto, ovvero emigrare e scappare in un altro posto più sicuro. Si paga un prezzo importante per un individuo, un prezzo emotivo e un prezzo economico, andarsene da una terra dove si è nati e vissuti. Pensiamo anche all’aumento del livello dei mari, quando nei prossimi decenni alcune zone costiere saranno sostanzialmente sommerse dalle acque l’unica forma di adattamento sarà quella di andarsene. Si potranno fare delle opere tecnologiche ma saranno ridotte a piccole situazioni, pensiamo a Venezia se uno mette tutti i soldi del mondo con il fine di salvarla ci sarebbero speranze, ma non si può fare dappertutto così facendo dighe per proteggere tutte le città costiere, il Bangladesh che è uno stato povero sta finendo sott’acqua già oggi e la gente emigra. Le ultime piogge torrenziali nel Shara sono significative ma è troppo presto per capire se si è trattato di un episodio isolato o di una tendenza, è vero però che i cambiamenti climatici alteri anche il percorso delle perturbazioni potrebbe riservare in futuro delle sorprese, con zone dove normalmente cade tanta acqua potrebbero desertificarsi e zone desertiche che vedrebbero i fenomeni piovosi aumentare.
Abbiamo parlato dell’uomo, ma gli ecosistemi naturali come reagiscono e si adattano?
Anche in questo caso stiamo parlando di fenomeni che non si possono tradurre in poche parole, la vita nella terra si è sempre adattata a
Secondo lei, il punto di non ritorno è già stato passato o l’uomo se si impegnasse seriamente potrebbe in qualche maniera porre rimedio?
Dipende in quale soglia lo fissiamo. Ci sono tanti possibili punti di non ritorno. Se parliamo di un clima adatto all’umanità come lo abbiamo conosciuto in passato, quello è già stato superato. Oramai la temperature del pianeta è aumentata di circa 1,5° e se uno mi dice possiamo tornare a un clima sano/normale, come quello di inizi 900 la risposta è no, non ci possiamo tornare almeno in tempi umani occorreranno svariati secoli o millenni anche se ci fermassimo adesso. Se invece per punto di non ritorno si vuol intendere difendersi da un pianeta invivibile per la specie umana la risposta è possiamo ancora evitarlo, l’Accordo di Parigi lo dice chiaro, riduciamo le emissioni di gas serra in modo da mantenere la temperatura del pianeta sotto i 2° di aumento sotto il periodo preindustriale, nella sostanza 0 emissioni entro il 2050 per rimanere sotto i 2 gradi di aumento di temperatura al 2100. Due gradi è la soglia di sicurezza per le generazioni future, quindi il danno c’è già, ma fino a quella soglia è una danno a cui possiamo adattarci senza troppi sacrifici, se invece non facciamo niente si può andare a 5° in più e con questi livelli di temperatura il pianeta potrebbe essere invivibile per l’uomo.
Però c’è da dire che viviamo in un periodo storico fatto di turbolenze varie e guerre…
Se dovessi giudicarlo da quello che vedo la battaglia è persa. Ho letto stamani le dichiarazione della Ursula Von Der Leye in cui diceva che il green deal non è più una priorità, la priorità sono le armi e la competitività economica. Alla domanda di prima posso rispondere che dal punto di vista utopico c’è ancora uno spazio di manovra, il punto di non ritorno di un pianeta dal clima invivibile siamo ancora in tempo a superarlo però bisogna volerlo e lavorarci sopra e segnali che ogni giorno vediamo mi sembrano molto lontani.
Cosa può fare nel breve/medio periodo una persona per adattarsi ai cambiamenti in atto?
Cerchiamo di riassumere i concetti espressi. Cosa implica l’adattamento?
L’adattamento ha un costo e non è mai soddisfacente, si perde sempre qualcosa ma è una necessità per cercare di ridurre il danno e questo non si riduce alla fonte ma sui sintomi. Se io mi adatto all’aumento della temperatura mettendo il condizionatore, questo è un adattamento che, se ho i soldi per pagare la bolletta, mi mitiga il disagio ma non risolve il problema alla radice anzi probabilmente ho aumentato le emissioni. Ci sono delle cose su cui si può adattare l’individuo, altri lo stato. Se ci sono le alluvioni, qua ci deve pensare lo stato e il governo. L’adattamento individuale è capire dove sono, se abito al mare pensare che potranno aumentare le mareggiate e al mare che mi entra in casa, se abito in città devo adattarmi soprattutto al caldo estivo e trovare delle soluzioni di isolamento termico della casa, senza per forza utilizzare il condizionatore, oppure mi sposto, io ho fatto così prima stavo vicino a Torino, a me che il caldo non piace il mio adattamento è stato trasferirmi in montagna, in Val di Susa e quindi d’estate vivo a 1600 metri. Nei paesi ricchi abbiamo più scelte di dove andare, nei paesi poveri no. Non hanno uno stato che li sostiene. In Italia, con diverso ritardo, ma dopo un alluvione vengono concessi contributi mentre in Africa se ti viene spazzata via la casa nessuno ti aiuta. La sintesi a quello che ci siamo detti: è che c’è ancora tempo per evitare il peggio, ma non c’è più tempo per iniziare questa cura che dipende da tutti noi, dobbiamo volerla. Lavorare per tutto questo ed entrare nell’ottica che bisogna rinunciare a qualcosa, spesso le rinunce sono meditate dall’ambiente culturale. Ci sono delle cose di base a cui una persona non vuole rinunciare, ma ce ne sono altre che appartengono al dominio del superfluo, dello spreco e dell’inefficienza. Io nel mio piccolo ho voluto provare in casa mia tutto quello che ho pensato mi faccia limitare il danno: mettendo il cappotto, i vetri tripli, ho cambiato la caldaia, ho messo la pompa di calore, ho messo i pannelli solari ed ora posso dire che la mia casa consuma il 10 % di quello che consumava prima. Col tempo ho avuto un guadagno, quindi non è necessariamente una perdita, ma all’inizio devi pagare un costo.
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