“Trovo che la soddisfazione più grande in generale sia trovare quel concetto di “Design” che tanto ci piace più o meno in ogni settore delle attività umane”. Sono parole di Mattia Talarico giovane designer venticinquenne che con il progetto Gemini ha sbaragliato gli altri 326 concorrenti all’edizione 2017 del concorso internazionale Legno d’ingegno promosso dal consorzio Rilegno per il riutilizzo del sughero e del legno riciclato come prodotto di arredo e di design. Si tratta di un portabottiglie realizzato riciclando e riadattando delle doghe di legno di rovere francese delle barrique, le tipiche botti dove vengono per tradizione conservati vini di pregio. Il risultato è un oggetto elegante, pulito e funzionale al tempo stesso, il richiamo intatto al passato proiettato al futuro nella nuova forma e funzione. Mattia Talarico contattato da Natural Mania ci ha concesso questa intervista, parlando del suo percorso più che promettente e orientato a progetti futuri.
Mattia, parlaci innanzitutto del tuo percorso professionale e personale
Cresciuto a San Giovanni in Persiceto (BO), laureando in Product Design presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, città dove sono nato. Dopo aver conseguito il diploma in lingue al Liceo “Giuseppe Cevolani” di Cento (FE), e affrontato diverse esperienze lavorative, ha deciso di voltare lo sguardo verso discipline con un approccio più pratico e concreto, delle quali non nascondo un certo fascino per la filosofia che celano. A partire dal 2013 ho partecipato a differenti contest, concorsi, manifestazioni ed eventi nazionali e internazionali legati al design ma anche arte, moda e architettura. Negli ultimi anni sto lavorando e collaborando con differenti realtà private, studi, aziende e gruppi di lavoro, alternando autoproduzione e gestione di sviluppo di progetti comparato.
Cos’è per te l’eco-design e che tipo di filosofia segui nei tuoi lavori?
Trovo che oggi entrambi i termini sia “Eco”, che “Design” abbiano preso pieghe molto variopinte nel panorama attuale soprattutto quando sono entrambi associati ad uno stesso soggetto. Credo che ci si riferisca molto a questo termine per stretta correlazione al Naturale in senso fisico quando in realtà è molto di più. Per quanto mi riguarda possiamo dire che in generale il mio approccio progettuale si fonda esattamente su quello che è l’eco-design o quello che dovrebbe rappresentare. Per cui un procedimento atto ad un’esecuzione molto pulita della materia lavorazioni ed elementi minimi, modulari magari, privilegiare materie di scarto come protagonisti del progetto e rendere tutto facilmente assemblabile trasportabile e fruibile ed infine a ciclo concluso facilmente smaltibile. Credo che ragionare in termini di eco-design sia da riferire ad un stile di vita vero proprio che, senza far rimbalzare troppo il termine “eco” in sé, si può interpretare e applicare ovunque io progetto, almeno ci provo!
Raccontaci dei tuoi lavori soffermandoti su quelli che ti hanno dato più soddisfazione..
Ma in realtà trovo e ho trovato soddisfazione in ognuno di essi, a livello progettuale mi sono e mi sto approcciando un po’ su tutti i livelli, percorsi e discipline e trovo che la soddisfazione più grande in generale sia trovare quel concetto di “Design” che tanto ci piace più o meno in ogni settore delle attività umane. A livello più esecutivo mi sento sicuramente vicino ad un approccio più artigianale e umano soprattutto vivere la materia e condividere esperienze di essa, credo che sia uno dei lati più belli del Design. Infatti, cerco sempre di creare ogni prototipo che progetto con le mie mani, studiandomi tecniche, dettagli esecutivi, specifiche, e composizioni di ogni elemento e se ho la necessità e la possibilità ovviamente il confronto diretto con artigiani e professionisti di ogni settore.
Ti sei aggiudicato il primo premio al concorso internazionale ‘Legno d’ingegno’, come è nato il progetto del portabottiglie in legno di rovere che ha vinto?
Me ne hanno aggiudicati due di primi premi a dire il vero da entrambe le giurie del concorso quella ufficiale e quella speciale denominata green. Gemini è un prodotto ideato come portabottiglie, ricavato dalle doghe in legno di rovere francese delle barrique, le botti in cui invecchiano i vini e spiriti più pregiati, nato proprio dall’idea del recupero di queste assi che dopo un certo numero di anni andrebbero smaltite e dal mio punto di vista sprecate aggiungerei. Lo studio svolto sul progetto Gemini mi ha fatto notare la singolarità di ogni doga e di quanto ognuna di esse sia simile e differente dall’altra allo stesso tempo e ricollegandomi alla sfera della simbologia della quale sono molto appassionato sono risalito all’icona Gemelli, Gemini, l’unione e l’adattabilità di unità simili nella forma ma diverse nell’essenza.
Credo che sia stato valutato positivamente proprio per la sua essenzialità di lavorazione, l’assemblaggio pulito a incastro, e l’equilibrio della struttura mantenendo quasi la completa integrità delle doghe originali.
Che tipo di materiali usi oltre il legno?
Sperimento molto e amo sperimentare oltre al legno ho avuto esperienze con metalli, pietre, ceramiche e argille, vetro, pellame, plastiche, bio-plastiche, carta, cartone, magneti, sabbia, gusci d’uova, caffè…scariche elettriche… meglio che non dico più niente…
Dopo questo importante riconoscimento che progetti hai per il futuro?
Laurearmi in primis, in secundis mi piacerebbe molto potermi concedere una esperienza lavorativa all’estero per la quale già mi sto organizzando, anche se in ogni caso conto quasi certamente di tornare. Credo profondamente nel valore italiano e in quello che l’italia rappresenta o che dovrebbe rappresentare.
Pensi che in Italia, patria di grandi architetti e designer, ci sia sensibilità per l’ecodesign e per le tematiche eco legate all’architettura in genere?
Assolutamente di si! lo si può notare sia dalle applicazioni tecnologiche per lo sfruttamento di energie rinnovabili che dall’impiego di materiali a impatto zero antinquinamento sempre più frequenti e disponibili, nulla di nuovo in realtà,ma sicuramente è un argomento che prende sempre più piede nello stivale. Che dalla sola sensibilità alla messa in pratica sistemica e su larga scala ci sia un abisso mi sembra abbastanza chiaro sicuramente possiamo e potremmo fare molto molto meglio sia come persone che come grande nazione quale siamo, ma proprio come dicevo prima se non si prende o si interpreta a dovere l’eco-design come vero e proprio stile di vita non so se si consumerà prima il piede o lo stivale ma nel complesso globale credo che siamo anche abbastanza bravi. C’è anche qualcuno che il concetto di eco-design non sa nemmeno come si scrive sfortunatamente!