L’economia circolare e le tradizione alla base del recupero e della lavorazione di materiale di scarto.
Un mestiere antico, come quello dello scalpellino, che si sposa benissimo con un progetto, come quello di Pietre Trovanti, che utilizza i residui delle lavorazioni della pietra per realizzare oggetti di eco-design e di arte applicata, il tutto nel nome dell’economia circolare che vede appunto il riutilizzo del materiale che in alternativa finirebbe frantumato o subirebbe un processo di disvalore. Una tradizione di famiglia da tre generazioni di scalpellini, quella che porta avanti Tiziana Scaciga, ma nella chiave della realizzazione di oggetti di design. Un progetto quello di Pietre Trovanti che nell’ultimo anno si è concretizzato grazie all’apporto di professionisti e designer che stanno con coraggio e spirito dell’innovazione costruendo un brand riconoscibile fuori dai confini della valle.
Un marchio ad impatto 0 con un passato alle spalle, legato alla tradizionale lavorazione della pietra, ma con lo sguardo proiettato al futuro. Natural Mania Magazine è andata ad intervistare Tiziana Scaciga che ci spiega la storia, la filosofia, ma soprattutto i professionisti che stanno dietro alla produzione di questi oggetti di artigianato green che dalla Val d’Ossola puntano a ritagliarsi la loro fetta di mercato tra gli amanti dell’unicità e del design ma sopratutto per chi apprezza le pratiche tradizionali rivisitate con ottica e gusto moderno.
Raccontaci in che cosa consiste il progetto partendo dal significato del nome?
Il nome emerge da un racconto. Quando nel 1940, mio nonno Giovanni Mario Moro, scalpellino di Montemerlo, Padova, giunse in Val d’Ossola, iniziò a lavorare la pietra utilizzando i trovanti – ovvero quelle rocce difformi che si trovano comunemente nei boschi. Presenze materiche evocative di un tempo geologico primordiale, più facilmente conosciute come massi erratici. Mio nonno sbozzava i trovanti in situ e poi venivano trasportati e lavorati a valle, seguendo un processo molto comune ai tempi: la pietra veniva utilizzata nella sua totalità. Allora non si parlava di economia circolare, ma il pensiero, alla base di questo approccio, era parte integrante nella quotidianità degli scalpellini di un tempo – e veniva applicato in modo spontaneo.
A partire da questo legame – emotivo e concettuale – nasce il nome Pietre Trovanti;
e inoltre Trovanti richiama il participio di ‘trovare’ richiamando un’altra prospettiva di osservazione di chi trova o è trovato. Trasformiamo pietre di scarto della Val d’Ossola, tra i bacini geologici più importanti e storici in Italia – in oggetti di design e arte applicata – seguendo una visione di progettazione ispirata alla natura. Da ogni fine un nuovo inizio.
Da chi è partita l’idea e chi sono le persone che vi ci lavorano?
Discendo da una famiglia di artigiani della pietra da tre generazioni, e, anni fa, ritornando alle mie radici, ho iniziato a visualizzare le pietre di scarto, accantonate nei luoghi di produzione o soggette ad un processo di disvalore come territori di opportunità da esplorare come matrici per la realizzazione di oggetti d’arte e design e come risorse da valorizzare in ambito sociale e culturale.
E, da oltre un anno, il progetto ha preso una forma e una sostanza più solida e approfondita grazie alla collaborazione con Luca Antonini, responsabile del brand e Andrea Scotton, direttore di produzione. Conosciamo la pietra per eredità e per esperienza diretta. Insieme condividiamo un percorso in cui le nostre differenti competenze e sensibilità si integrano e si uniscono. Siamo refrattari alle tendenze, e alle mode del momento, cerchiamo di confrontarci con le pietre di scarto nel modo più rispettoso ed autentico possibile. Questa è la nostra direzione. Ogni oggetto è lavorato a mano tenendo conto di ciò che ogni pietra ispira e può divenire.
Sin dalla fase embrionale del progetto la produzione artigianale è realizzata da Moro Serizzo, l’anima e le mani di Pietre Trovanti. L’azienda, sin dai primi anni ’80, introdusse il tema del recupero ambientale all’interno della propria attività, dunque l’idea di creare un circolo virtuoso del materiale post produzione lineare ha inevitabilmente trovato una profonda corrispondenza in termini di sensibilità e di fattibilità.
Si tratta di una tradizione che viene dal passato rivisitata al presente o è un’idea completamente nuova?
Le prime case, i primi templi, i primi oggetti in questa valle sono di pietra ed è per noi spontaneo confrontarci con la sua funzione archetipale. È una costante esplorazione che unisce il passato alla contemporaneità.
Noi lavoriamo pietre irregolari, in modo brutale, radicale, poetico – senza nascondere questa condizione, ma mantenendone l’evidenza connaturata. Valorizziamo le stesse caratteristiche che portano le pietre di scarto ad essere considerate tali. E, la circolarità del recupero in Pietre Trovanti è un percorso concreto che emerge sia nelle due linee ‘Erranti e Trovanti’ sia nel progetto Aleph – che prevede il riutilizzo dei fanghi di segagione, derivati dal taglio della pietra. Se ci fosse un progetto dedicato al recupero degli scarti di lavorazione con le stesse specificità sarei felice di conoscerlo.
Parliamo finalmente degli oggetti, in cosa consistono e perché secondo voi possono definirsi oggetti di eco-design?
Essenzialmente produciamo complementi d’arredo – dalle linee essenziali, pure. Nel nostro percorso abbiamo deciso di sviluppare due linee – identificandole in ‘Erranti’ pietre scelte, sbagliate, bellissime. Le trasformiamo il minimo necessario per poterle collocare in un ambiente abitativo. ‘Trovanti’ sono le collezioni che prendono vita seguendo una visione di continuità e di riproducibilità. Entrambi le collezioni hanno come punto comune l’unicità e l’irrepetibilità degli oggetti.
Quando si delinea il percorso di un oggetto di ecodesign dobbiamo partire dal principio seguendo tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto. Partiamo dall’origine: la pietra è un materiale a priori ecocompatibile, si trova in natura, dunque non necessita di fabbricazione. Recuperiamo la materia prima nel raggio di pochi km di distanza dal laboratorio o nel laboratorio dove lavoriamo a Crodo – ad esempio – blocchi difformi, marmette, lastre, carotaggi… La produzione degli oggetti prevede il minor numero possibile di trasformazione, cercando di ridurre al necessario il consumo energetico nelle fasi produttive e dunque di conseguenza l’impatto ambientale che ne deriva. Alle macchine, e all’universo della standardizzazione anteponiamo le lavorazioni artigianali, seguendo una progettazione ispirata alla natura, da ogni fine un nuovo inizio. Nella fase ideativa di un progetto – la sostenibilità inizia dal pensiero – cercando di capire come utilizzare nella totalità la materia con la quale ci confrontiamo e come ridurre lo scarto che si può generare attraverso le nostre produzioni, reinserendolo in un nuovo processo creativo.
Inoltre: è importante considerare la durata della vita di un oggetto, la pietra è un elemento che si tramanda di generazione in generazione. Nessun oggetto delle nostre collezioni è trattato chimicamente, ma lasciato al suo stato originario.
Gli oggetti vengono progettati da designer e creati da artigiani del posto o vi affidate anche a contributi che vengono da fuori valle? Esiste una scuola dalle vostre parti?
No, al momento non esiste più una scuola. Gli oggetti nascono sia internamente sia in collaborazione con designer e artisti emergenti e di rilievo nello scenario internazionale. Collaboriamo con Davide Crippa, dello studio Ghigos Ideas – con cui anni fa iniziammo la fase embrionale del progetto con le collezioni ‘Satelliti e Variazioni‘. È stato il primo designer a credere nelle potenzialità dell’idea con azioni concrete; con Josefina Muñoz, designer argentina con base a Ginevra con la quale stiamo lavorando ad un nuovo progetto e condividiamo un bellissimo dialogo, per citarne alcuni. Nessun pezzo delle nostre collezioni potrebbe essere ipotizzato senza il contributo consapevole e essenziale, frutto di vero sapere e senso di responsabilità degli artigiani di Moro Serizzo.
Parliamo di giovani, da voi esiste nelle nuove generazione la voglia di fare i designer o gli artigiani?
Difficile generalizzare, sicuramente, il desiderio di saper fare con le mani si sta diffondendo sempre di più, e qui in Val d’Ossola sono numerose le storie di giovani che hanno iniziato produzioni artigianali di varia natura.
In Val d’Ossola il rapporto uomo/natura è una costante, quanto di uomo e quanto di natura è presente in questi oggetti?
I prodotti che interessano questo progetto sono una manifestazione del confronto col nostro ambiente, senza formalismi, con senso del vero. Ci confrontiamo quotidianamente con la natura di questa valle intima e selvatica.
L’artigianato e il design possono esser un volano dell’economia che ben si coniuga a ad un turismo legato alla natura?
Artigianato, design e aggiungerei sostenibilità sono tre valori che possono integrarsi molto bene ad un turismo legato alla natura e, in senso più ampio, desidero e auspico che il tema della sostenibilità possa essere sempre più un argomento che genererà dei momenti di riflessione e di azione in termini di investimenti.
Parlaci di un aspetto ancora non affrontato e che vuoi che venga evidenziato.
I fanghi di segagione, derivati dagli scarti della lavorazione e dal taglio della pietra ornamentale, per le aziende rappresentato una grave problematica economica e di smaltimento.
Da mesi stiamo lavorando ad ‘Aleph’ – progetto di ricerca indipendente dedicato alla trasformazione dei fanghi in oggetti di arte applicata. Un residuo diventa materia prima nel percorso di sperimentazione che stiamo realizzando con Marta Palmieri, artista e Carlo Antonelli, architetto. Con loro condividiamo un percorso di grande affinità ideativa e produttiva.