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Home » La moda etica e sostenibile di Rifò

La moda etica e sostenibile di Rifò

19 Febbraio 2025 di Alessandro Allori

Intervista a Niccolò Cipriani, fondatore dell’azienda tessile di Prato che realizza capi di moda in cashmere e lana rigenerati.

Niccolò Cipriani fondatore di Rifò

Un progetto quello di Rifò che abbraccia tutte le tematiche della moda sostenibile, dall’economia circolare sino all’etica del lavoro passando alla promozione dello slow fashion (moda lenta) contro il fast fashion (moda veloce) portatore di un modello di sviluppo insostenibile che comporta non solo uno spreco di risorse, ma anche capi d’abbigliamento di bassa qualità che cominciano a degradarsi dopo pochi lavaggi. L’azienda capitanata da Niccolò Cipriani a sede a Prato, dove ha sede uno dei distretti tessili più importanti al mondo e che attualmente attraversa una crisi profonda dovuta più altro alla situazione internazionale. Rifò anche in questo è in controtendenza ed è attualmente in una fase espansiva ed è impegnata in progetti di inclusione sociale.  Noi di Naturalmania siamo andati ad intervistare Cipriani per cercare di capire i segreti di questo brand emergente, come avviene la produzioni, chi sono gli attori in campo e quale massaggio vuole lanciare al grande pubblico.

Ci parli innanzitutto di Rifò e della storia che c’è dietro..

Noi siamo un brand di moda circolare fondato nel novembre 2017 grazie a una campagna di crowdfunding. Quello che facciamo è prendere vecchi indumenti direttamente tramite la nostra filiera trasformarli in fibra e poi in un filato, quindi in soldoni ci occupiamo di economia circolare nel settore dell’abbigliamento. Il 95% della nostra produzione viene dal distretto tessile di Prato, di cui facciamo parte e per questo possiamo dire che la nostra filiera è a km 0.

Parliamo ora del processo di rigenerazione dei tessuti. Nel concreto come viene realizzato?

Le fibre vengono ripresi da vecchi indumenti che vengono selezionati per colore e qualità, vengono sfilacciati e riportati allo stato di fibra, rifilati e poi dal filato facciamo un maglione, un cappotto. Quindi si ricrea la materia prima per poi essere lavorata e trasformata in capi per la moda da essere reimmessi sul mercato.

In un periodo di crisi generale del tessile. Voi come vi ponete?

Noi siamo in una nicchia che sta crescendo, per noi anche il 2024 è stato molto positivo, stiamo cercando di espanderci, soprattutto all’estero tramite nuovi rivenditori. Stiamo facendo crescere il nostro online soprattutto grazie alla prevendita, dando la  possibilità alle persone di comprare prima a prezzo scontato capi che riceveranno una volta prodotti, quindi dopo 6/8 settimane e in più stiamo verificando la possibilità di aprire un negozio fisso a Milano.

Oltre al concetto di moda circolare mi pare che inseguiate anche la cosiddetta moda ‘etica’. Che tipo di manodopera cercate e qual è il vostro modo di interfacciarsi?

Si sono filiere locali, aziende dove c’è un valore etico forte, abbiamo lavorato anche ad un progetto ‘nei nostri panni‘, con altre aziende del nostro territorio, dove inseriamo migranti vulnerabili all’interno di questo percorso, li formiamo e li facciamo imparare i mestieri che stanno piano piano scomparendo, come quello del cenciaiolo che è la persona che fa la selezione dei vecchi indumenti.

Dove reperite le materie prime? Quali sono gli attori in campo che portano al prodotto finale?

C’è lo scarto pre consumer, che arriva direttamente dalle aziende, dove lana a casimire è prevalentemente italiano, mentre post consumer sempre per lana e casimire viene principalmente dall’America. Sono indumenti che vengono gettati nei cassonetti gialli, che vengono poi raccolti e selezionati da queste organizzazioni che rivendono i capi e poi noi li ricicliamo. Noi ci occupiamo della distribuzione, della comunicazione e della logistica, però abbiamo un distretto nel caso di Prato dove riusciamo a coordinare tanti attori presenti. Noi lavoriamo con più di 25 realtà del territorio, cerchiamo quindi di dare lavoro alle imprese locali. Cerchiamo di collaborare con tutta la filiera che da più di 100 anni Prato coltiva.

La vostra filosofia aziendale va contro il fast fashion, che però riflette sul prezzo finale. Cosa vi sentite di dire al consumatore finale?

Bisogna cercare di far passare il messaggio che se si vuole vendere una confezione italiana pagata con stipendi italiani, il costo si riflette nel prodotto finale, rispetto allo stesso capo prodotto in Cina o in Bangladesh. Quindi, nel prezzo finale va messo in conto sia il costo del lavoro che le condizioni dei lavoratori. Noi abbiamo un approccio rigenerativo e non estrattivo, cerchiamo di non estrarre valore ma di ricrearlo lo facciamo utilizzando lo scarto di una fibra naturale, che di per sé è biodegradabile e in piò lo facciamo valorizzando il lavoro nel territorio e creando dei progetti sociali grazie al fatturato dell’azienda. In generale il consiglio spassionato che possiamo dare al consumatore è acquistare meno ma meglio, acquistare valore che con il tempo gli ritorna anche nel proprio stipendio. Premiare un’economia che valorizza le persone

 A livello ambientale, la moda circolare che tipo di risparmio produce?

Nel riciclo, se non si ritinge, c’è una media di risparmio dell’80% su Co2, energia, acqua e emissioni. Direi che non è poco…

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