Tra necessità pratiche ed etiche l’Europa promuove una strategia verso un packaging sostenibile.
Un obiettivo chiaro e speriamo decisivo nella lotta all’inquinamento quello che si è dato la Commissione Juncker di arrivare entro il 2030 al 100% di plastica riciclata negli imballaggio. Anche se questa data è un orizzonte ancora lontano si tratta di una svolta importante dovuta non solo da motivi ‘etici’ ma anche economici in quanto la Cina che negli anni passati si è volontariamente accaparrata gran parte (80/85%) della plastica del vecchio continente destinata al riciclo o allo smaltimento ha chiuso le porte dell’impero Celeste costringendo ‘de facto’ le istituzioni comunitarie a una svolta green che porti a considerare il riciclaggio della plastica un business per le imprese, così come la produzione di bioplastica magari realizzata con materiali biodegradabili.
Il polverone mediatico sui sacchetti di plastica monouso per la frutta a pagamento (1 centesimo!!) è solo il primo di una serie di provvedimenti che puntano a rendere il consumatore consapevole dell’importanza del riuso, speriamo solamente che i prossimi governi italiani siano meno maldestri di quest’ultimo nell’attuare i provvedimenti che si susseguiranno da qui al 2030 volti a scoraggiare il consumo della plastica e che spenda tempo e risorse per spiegare agli italiani nelle scuole, negli uffici,nei programmi televisivi e giornali l’importanza di tali provvedimenti che è bene dirlo saranno in minima parte fiscali per il benessere generale.
Un’opportunità per la green economy da 200 mila posti di lavoro
Fu così che il 16 gennaio 2018 la Commissione Ue ha presentato la sua strategia che consiste raddoppiare la quantità di plastica riciclata e di arrivare ad una quota del 100% per gli imballaggi entro il 2030. Una svolta decisiva che per arrivarci vuole puntare sulla green economy ovvero l’idea è quella di ribaltare l’assioma e far diventare quello che attualmente è un problema in una opportunità per le imprese, nell’educazione civica e probabilmente nella leva fiscale. I numeri parlano da soli e sono impietosi negli ultimi cinquanta anni nella sola Europa sono stati prodotti più di 8 miliardi di tonnellate di plastica, finita in gran parte in discariche anche perché solo nell’ultimo ventennio gli stati si sono mossi seriamente verso ‘buone pratiche’ di raccolta differenziata e comunque delle 25 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti nei paesi dell’Unione solo il 30% finisce nella raccolta differenziata, in gran parte la plastica finisce nelle discariche il resto viene gettato un po ovunque specialmente nelle acque marine e oceaniche. Tracce di rifiuti plastici vengono spesso trovati negli stomachi di pesci, delfini, balene e tartarughe marina spiaggiate, sacchetti sono stati trovati tra i ghiacci Antartide e nella cima del K2 .
Un vero incubo per tutte le specie viventi che devono fare i conti con l’inciviltà dell’uomo a cui solo l’uomo può porre rimedio.
Per cambiare rotta servono risorse
Dal dire al fare c’è di mezzo un mare, in questo caso di plastica. Il costo annuo dello smaltimento in discarica della plastica si aggira attorno agli 80 miliardi di euro, per non parlare in termini di inquinamento prodotto da inceneritori e altri impianti di smaltimento o al costo delle navi container che portano fino in Cina la plastica europea da smaltire.
In pratica fino ad oggi abbiamo allontanato il problema invece di affrontarlo.
Si tratta di attuare una rivoluzione che coinvolge consumatori e imprese nello stesso modo. In previsione la Commissione Europea ha intenzione di investire 100 milioni di euro per l’innovazione tecnologica, è infatti la fase transitoria che spesso spaventa le imprese per questo è opportuno sostenere finanziariamente le imprese che vogliono convertire la propria produzione in nell’ottica del riciclo e del riutilizzo. Vengono coinvolte non solo le imprese che riciclano, ma anche quelle che producono, spesso gli imballaggi di plastica contengono delle sostanze o dei coloranti volte a migliorare l’estetica e la resistenza del prodotto ma che pregiudicano qualsiasi possibilità di riciclo. Interviene a questo punto l’eco-design quella branca del design che con un’ottica green si occupa della progettazione di imballaggi e contenitori fatti con materiali riciclabili scegliendo i materiali giusti con un occhio anche alla resistenza e all’estetica. Secondo la Commissione Ue se la strategia avrà successo saranno creati attorno ai 200 mila posti di lavoro da qui al fatidico 2030, ma speriamo molto prima il conto alla rovescia per il pianeta è scattato già da tempo.
Usare la leva fiscale con intelligenza
La leva fiscale è ovviamente quella con cui si trovano più facilmente e velocemente le risorse ma è anche quella meno popolare e spesso (vedi la vicenda dei sacchetti monouso) se è applicata senza misure volte a far conoscerne la vera finalità viene male interpretata dall’opinione pubblica che la interpreta come l’ennesimo balzello. Molto meglio usare una politica di incentivi e disincentivi, ovvero rendere conveniente per le imprese produrre o smaltire plastica riciclabile e per il consumatore disincentivare i sacchetti mono uso magari proponendo negli stessi supermercati sacchetti resistenti utilizzabili più volte per la stessa finalità. Ultimo ma non per importanza è l’educazione civica nelle scuole, negli uffici pubblici e privati volta a spiegare e promuovere l’economia circolare, far conoscere i problemi che genera la dispersione nell’ambiente della plastica e rendere il cittadino partecipe delle necessità delle ‘buone pratiche’ volte a rendere migliore il pianeta per le generazioni future.
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